Alla fine degli anni 90 ero totalmente preso dallo spinning, dal surf casting dalla pesca al colpo, la trota lago e la pesca al tocco , all’epoca la pesca a Mosca non mi sfiorava neppure forse perché non mi arrivavano abbastanza informazioni, forse per via del focus troppo incentrato sulle altre tecniche .Un giorno però accadde qualcosa, andai in svizzera per trascorrere le vacanze da mio cugino che vive a Zurigo, insieme a lui ho pescato fin da quando eravamo piccoli, alla foce, dagli scogli, al laghetto ecc. siamo cresciuti conservando e coltivando la stessa passione.
Dunque arrivato a casa sua iniziammo subito a pianificare la giornata di pesca che ci aspettava l’indomani .In quel periodo avevamo un obiettivo comune , catturare un luccio di grosse dimensioni. ci sedemmo per terra con la cassetta da pesca aperta , sulle gambe le varie riviste e libri che citavano il famoso esocide, le attrezzature , fili, finali, artificiali sparsi davanti a noi, immersi nel caos totale e le nostre attuali mogli ci guardavano sorridendo chiedendosi se avrebbero fatto bene a sposarci 🙂
Eravamo diretti al Sihlsee un lago famoso per i grossi lucci presenti, dove la tecnica principe era la traina con i grossi minnow o una sorta di casting con siliconici. Ricordo benissimo quel momento propedeutico , fatto di sogni, speranze ,illusioni, che a volte diventavano la cattura dell’anno altre volte invece si materializzano con il mega cappotto 🙂
Il briefing era terminato, canne,mulinelli,montature erano ok e iniziammo a riordinare il caos, la mattina seguente ci saremmo svegliati prestissimo così sistemammo il tutto, compreso i libri. Fu in quel momento che mi capitò tra le mani quel libro, “il libro”, l’Enciclopedia della pesca a mosca di Charles Jardine, mi incuriosì la copertina con elementi che non riconoscevo, con gli elementi che compongono l’immenso e affascinante mondo della pesca a Mosca.
Mio cugino mi vide attratto da quel libro e disse :“è un libro molto interessante se vuoi te lo regalo”. Io inizialmente pensai di sfogliarlo soltanto ma poi accettai di tenerlo.
Tornato a casa dalla vacanza, iniziai a leggerlo e man mano che andavo avanti, tutte le tecniche che praticavo , le decine e decine di canne mulinelli che avevo in garage sembravano svanire nella mia testa per lasciare spazio a questo nuovo mondo fatto di code di topo ,di strani mulinelli , di canne che producevano volteggi che disegnavano in aria vere e proprie opere d’arte, di mosche artificiali.
Sul libro venivano riportate l’arte del lancio, l’arte della costruzione delle mosche con l’illustrazione dei dressing , le varie tecniche di pesca da approfondire descritte dal l’autore e molto altro, tutto questo mi ha tolto ogni dubbio, io avrei iniziato a pescare a Mosca.
Mia moglie (allora la mia fidanzata) , fece il resto , mi regalo un kit per la costruzione delle mosche , con morsetto piume, filati ecc.Seguirono canna,mulinello,coda e via , iniziai il mio percorso che ancora oggi mi lega alla pesca a Mosca e mi porta a voler migliorare la tecnica di lancio, a ragionare sulle situazioni di pesca, a scoprire nuovi luoghi dove pescare, a conoscere altri pam e prendere spunto dalla loro esperienza, a praticare il Catch & Release!
Oggi Il libro è famosissimo, lo conoscete sicuramente per cui vi risparmio la descrizione, ma un grazie lo devo senza dubbio ad una persona, mio cugino .
Antonio Napolitano
Fortunatamente pur essendo abbastanza avanti con gli anni e nonostante la grave crisi economica attuale, l’epoca in cui ho vissuto finora, non ha conosciuto la vera fame, quella dei nostri nonni, patita durante la guerra e nell’immediato dopoguerra, quando spesso fare due pasti al giorno era da ricchi, dove brodaglie e minestroni i cui ingredienti erano spesso lasciati all’immaginazione piuttosto che elementi reali, erano l’unico pasto quotidiano. Era così, bisognava accontentarsi perché quello passava il convento. Se poi fosse stata migliore quella condizione rispetto all’opulenza ed allo sperpero dei giorni nostri, beh questo non saprei dirlo e comunque non mi interessa nemmeno entrare nel merito.
Sta di fatto che, stando ai racconti dei miei nonni, ogni qual volta ci si metteva a tavola davanti a sbobbe brodose spesso a base di fagioli o patate, la speranza era quella di tirare su con il cucchiaio almeno qualche pezzetto di cotica o salsiccia una volta ogni tanto. Ovviamente nell’immaginario collettivo poter “pescare” ad ogni cucchiaiata un boccone prelibato con un pezzetto di ciccia era il sogno più ambito, tant’è che nel comune parlare di quei tempi la locuzione “ogni cucchiara ‘na coteca” divenne un modo di dire che stava a significare una condizione di vero privilegio.
E questa è la frase che mi è venuta in mente quando per la prima volta sono sceso a pescare nel no kill dell’Ansiei con i miei amici Remo e Massimo. Appena arrivato in alveo il colore un po’ bianchiccio dell’acqua mi aveva lasciato qualche perplessità, ma dopo aver effettuato i primi due lanci, due di numero, con relativa cattura di due pesci (ogni cucchiara….), beh ogni dubbio è svanito così come la leggera nebbiolina del mattino.
I raggi del sole ormai incontrastati, illuminavano la miriade di insetti, varie specie di plecotteri ed effemerotteri, che schiudevano costantemente e salivano dalla superficie dell’acqua. Remo, Massimo ed io con l’adrenalina a mille, ci alternavamo nella pesca utilizzando prevalentemente red spinner di varie dimensioni e a volte qualche imitazione di plecottero (le leuctra fusca facevano da padrone).
Un vero sparo di fuochi di artificio, le catture si susseguivano a ripetizione sia su pesci che bollavano, sia in caccia. Pesci dalla livrea e dalle pinne veramente stupendi e di taglia discreta. Insomma, catture a non finire, tranquillità di un fiume bellissimo, ottima compagnia di amici, cosa si poteva pretendere di più? L’auspicio è che presto ci sia di nuovo l’opportunità di mangiare questa minestra.
Marco Travaglini
a cura di Sandro Spuria
Sistemando una scatola in soffitta,ho ritrovato alcune vecchie foto e mi sono soffermato a ricordare….ricordare con piacere le prime uscite all’estero, in questo caso si tratta del fiume Traun, in Austria. All’epoca bastava poco per divertirci, un paio di stivali in pvc Ocean ed una sola canna ma quante emozioni!!!!!!!
Trote e temoli talmente grandi che a volte era difficile guadinarli, ma soprattutto ci permettevano il lusso di pescare solo a secca, a volte bastava un solo pesce per farti felice. con qualche amico la giornata passava veloce.
Frittura di olive all’Ascolana direttamente sul fiume nei pressi della casetta del guardiapesca.
Foto di gruppo con al centro un caratteristico guardiapesca , aveva anche la moto abbinata al suo abbigliamento, potete immaginare che antichità ma purtroppo non sono riuscito a trovare la foto. Il caro amico Pietro , che da buon piemontese viaggiava sempre con una scorta di ottimo vino che si fa dalle sue parti, lo invita a bere.
Foto molto scura e per niente bella, ma la più interessante; le macchioline chiare che si vedono sono sedge, che alla sera schiudevano in quantità industriale, ti entravano sotto le maniche, sul collo, dentro la bocca .
Sandro Spuria
Mi sono avvicinato alla costruzione delle canne in bamboo grazie a mia figlia: un giorno disegnò una canna da pesca in legno, vi attaccò un filo di lana con appeso un pesciolino e mi chiese : “ti piace papà ?” “Perché non ne costruisci una ?” E così feci.
Da quel momento è diventato un vero e proprio hobby che occupa sempre più le mie giornate e dal quale ora diventa difficile staccarmi. Iniziai con delle ricerche su internet, prendendo informazioni sui materiali e le attrezzature da usare. Navigando sempre su internetvenni a conoscenza di un’associazione di costruttori di canne in bamboo, la IBRA, che riunisce costruttori conosciuti in tutta Europa.
Così iniziai a costruirmi tutte le attrezzature necessarie per la costruzione: impiegai circa quattro mesi per la planing form seguendo il progetto di gabriele Gori, presidente dell’IBRA. Una volta terminata la planing form dovevo reperire il bamboo. Non sapendo dove comprarlo, sono andato lungo le rive del fiume Tronto, dove trovai le mie prime aste.
Dedicai la mia canna a mia figlia e le diedi il nome di Diavoletto perché era il suo soprannome; la seconda la dedicai a mio figlio, chiamandola Zuccavuota perché era il nome che mia figlia voleva dare al fratello.
Avendo letto che nel mese di Maggio si sarebbe tenuto un incontro con tutti gli associati IBRA, telefonai a Moreno Borriero per chiedere se potevo parteciparvi e far vedere le mie due canne. Egli mi invitò al raduno ed in quella occasione mi chiese se volevo iscrivermi all’IBRA, cosa che feci con estremo entusiasmo.
In questo mondo ho conosciuto autorevoli costruttori pronti a darmi tutte le informazioni a me sconosciute, persone splendide il cui motto è quello della divulgazione e in prima linea ci metto Marco orlando Giardina MOG che con la sua esperienza storica ti incanta con le sue lezioni, un grazie particolare lo devo ad Alberto Poratelli che con la sua cultura, esperienza e pazienza mi ha offerto dei preziosi suggerimenti sulla costruzione.
Ormai sono diverse primavere che seguo la IBRA sia nei raduni nazionali che Europi, partecipandovi con grande entusiasmo e portando sempre a casa un bagaglio informativo a me utile, tanto che ormai sono arrivato a costruirle con misure completamente personali, il mio laboratorio se così si può chiamare è rimasto sempre lo stesso con attrezzatura semplice ed auto costruita. Si ho detto misure personali perché ho cercato di adattarle al mio modo di pesca cercando in questo modo di farmi correggere i miei errori sui lanci. Vorrei concludere questo mio racconto sottolineando che esso non è diretto ad una valutazione sulla qualità delle canne, ma solamente per far conoscere il modo in cui mi sono avvicinato a questo fantastico mondo del bamboo.
Un ultimo ringraziamento va a mia moglie che ha supportato i miei risvegli notturni, durante i quali le chiedevo un parere sulle misure o altro, ricevendo un semplice “dormi, ne parliamo domani mattina”
Il mattino successivo è il primo giorno di pesca vero, ci siamo riposati dopo il lungo viaggio e siamo pronti a scoprire il fiume, decidiamo di dirigerci verso le pool centrali da 51 a 61, dividendoci il tratto e intorno alle 11 abbiamo tutti già preso diverse brown trout, Enrico ha catturato il primo Salar della vacanza e Gabriele , mentre passa vicino a me mi racconta di come abbia perso, praticamente sotto i piedi, il suo salmone.
A questo punto io e Stefano decidiamo di salire verso la pool 61 camminando fuori dall’acqua in mezzo a della strana erba alta e dura, come la natura che ci circonda. Arrivati alla pool mi chino leggermente, quasi nascondendomi in quest’erba che mi accerchia, lancio e appena il piccolo wooly bugger nero tocca l’acqua una freccia d’argento salta ad afferrarlo per poi tornare a nascondersi nell’acqua profonda….lo ferro con forza e li inizia la corsa, mia nei prati e sua nell’acqua, dopo circa 20/25 min e con l’aiuto di Stefano che si getta in acqua a prenderlo per la coda riesco a farmi fotografare con un Salar di circa 10 kg e 100 cm.
A questo punto, con le gambe ancora tremanti, prendo la borraccia dal marsupio, in mezzo all’erba, e bevo un lungo sorso d’acqua….opsss….credo mi abbia pizzicato qualcosa….no…non devo dargli peso, devo continuare a pescare….cosi si continua e continuano anche le nostre catture per tutto il giorno e per i giorni a seguire, salmoni di una taglia media di circa 70/75 cm oltre a brown trout dai colori veramente splendidi e di notevole taglia, catturate a mosca secca, sempre con i bomber, la parte alta, quella del canyon del Reykjadalsa è fantastica, mi ha proprio incantato…ma con il passare dei giorni la puntura si è trasformata in enormi bolle sulle braccia…poi sul collo, allora metterò il buff e continuerò a pescare, peccato che quel buff è ormai pieno di spore della famosa erbaccia….e a questo punto che Enrico vedendomi mi parla dei famosissimi Sennerù 🙁 ….
Cosi sono costretto a cercare una farmacia, Enrico, che intanto ha catturato il suo quinto salmone e Stefano decidono di venire con me cosi da approfittarne per fare un uscita in barca nella vicina baia di Husavik per avvistare le balene, la pesca continuerà ancora per un paio di giorni primi di iniziare il rientro verso casa con catture di trote di eccezionale taglia e livrea .
Bene….sono a casa e sto ancora sistemando la valigia e vedo le scatole di mosche che ho portato con me, sono tantissime e li funzionavano solo 2 tipi di artificiali, ed io cosa ho lasciato a casa? L’unica cosa che mi sarebbe servita davvero.
Anche durante quest’ultima settimana abbiamo avuto livelli bassi e acqua pulita, forse anche troppo pulita, infatti la pesca è risultata molto difficile sopratutto per l’avvicinamento al pesce che, al minimo movimento o comunque al passaggio anche a distanza dei pescatori lungo le sponde , fuggiva immediatamente a rintanarsi.
Però l’acqua trasparente ci ha permesso di praticare, con grande divertimento, la pesca in caccia con i terrestrial e la mitica pesca a ninfa a vista, questa tecnica praticata con piccole ninfe senza piombo o comunque molto leggere è davvero bella ed emozionante.Le ninfe sono le classiche in fagiano o lepre oppure piccole imitazioni di gammarus ottime nelle zone 1-2 , zone in cui al momento c’è presenza di alghe sul letto del fiume.
Ma la vera bella notizia di quest’ultima settimana è rappresentata dalla buona attività durante il coup de soir, solitamente dalle 19:30 si inizia a fare sul serio pescando con sedge su amo del 12-14 animate facendole pattinare oppure nella zona 2 a monte dei ponti sono ottime le Arpo e le piccole Adams su amo del 18 e si va avanti fino a notte, dunque fino alle 20:30 circa.
Bisogna provarci e crederci fino all’ultimo lancio, a volte è proprio all’ultimo lancio , proprio quando recuperiamo la coda “bene ordinata” nel mulinello che rischiamo di effettuare la cattura del Farione che cercavamo 🙂
Quando si organizzano viaggi di pesca in posti lontani e dalla natura a volte ostile si pensa mille volte a cosa portare anche perché il viaggio inizia al momento della prenotazione dei posti in aereo equindi molto tempo prima e dal quel momento in poi l’orologio sembra muoversi molto…troppo lentamente.
All’improvviso arriva il momento della partenza, sull’attrezzatura non ho il minimo dubbio, almeno 12/14 scatole di mosche, abbigliamento tecnico a strati : leggero intermedio e pesante e poi più leggero, intermedio/leggero, intermedio/pesante , super pesante….qualcosa dovrò pur lasciare a casa…. È arrivato il momento di partire e devo ripensare ancora al bagaglio, di una cosa sono certo, sicuramente non avrò bisogno di portarmi dietro una farmacia intera, qualche cerotto e un antidolorifico qualsiasi possono bastare….antistaminico?? Ma no…a cosa voglio essere allergico in Islanda…
Cosi si parte, siamo in 4 io, Enrico, Gabriele e Stefano, naturalmente all’andata siamo in anticipo su ogni tabella di marcia e una volta arrivati al lodge troviamo ancora gli ospiti precedenti che ancora devono andarsene ma noi ci stiamo pescando addosso….
il primo pomeriggio di pesca lo passiamo sulla parte bassa del Reykjadalsa, in questo tratto il fiume sembra quasi un chalk stream, acque trasparenti, flusso moderato, aree limitrofe che sembrano paludose, le catture si susseguono, trote di ogni taglia dalle più piccole a quelle intorno ai 35 cm salgono su grossi bomber neri .
Il mattino successivo è il primo giorno di pesca vero, ci siamo riposati dopo il lungo viaggio e siamo pronti a scoprire il fiume, decidiamo di dirigerci verso le pool centrali da 51 a 61……
continua 🙂
incassiamo l’ennesima figuraccia e, pronti a cambiar rotta alla sorte di quella giornata, partiamo a spron battuto verso il no-kill.
Giungiamo sul posto. Antonio scende dalla macchina prima ancora che sia ferma, va verso il portabagagli, lo apre e, in men che non si dica, è già in mutande quando io mi accorgo, ovviamente mantenendo l’aplomb di un boscaiolo che si da un’accettata sui piedi, di non avere l’intimo tecnico da indossare sotto ai waders. Era rimasto in quel di Villa Marinotti anche lui a far compagnia alla borsa di Antonio.
Non ci penso un istante. Lascio Antonio in mutande (ma con il necessario per completare la vestitura) e ripiombo in auto alla ricerca dell’intimo perduto.In preda alla vergogna più assoluta mi sento sollevato quando vedo che Cristian e Fiorenzo non ci sono più (stavolta non me la sarei risparmiata).Come Gatto Silvestro entro, prelevo il bottino, quando, varcato l’uscio sento una dolce vocina alle spalle che mi chiede: “Remo che succede, è già la seconda volta che torni !!!!”.A chiunque avrei risposto in un modo da codice penale ma, voltandomi e vedendo il volto dolce di Nadia (la padrona di casa) son certo che se me lo chiede è perché si sta realmente preoccupando che qualcosa non vada.
La prima frase che mi passa per la mente è quella che mi ha spinto a scrivere questo racconto “Niente Nadia…..oggi solo un temolo da 55 può rimettere a posto le cose!!!!” Lei, sapendo cosa vuol dire quello che ho proferito mi guarda come se le avessi detto che l’indomani sarei stato Papa.Preso dall’ansia di aver lasciato Antonio in mezzo al bosco riparto a missile e, arrivato a destinazione, scendo dall’auto cambiandomi con una velocità tale che, Superman dentro la cabina telefonica, sembrava un bradipo.Un’ultima revisione prima di partire. Sembra che tutto sia a posto e allora andiamo!!!
Dopo tutto quel che ci è accaduto, giunti sul fiume, ci si sente come al cerchio di centrocampo prima del calcio d’inizio della finale dei campionati del mondo.Si parte!!! Io e Antonio ci dividiamo le sponde. Nei primi 300 metri di fiume veniamo catturando a ninfa tutti bei pesci anche se le taglie non sono da appuntare sul calendario.Passata la prima grande buca, dove abbiamo cominciato a vedere qualcosa di più interessante, arriviamo ad un “correntone” che Antonio si batte da cima a fondo quando, giunto all’inizio, nota un grosso masso a ridosso del quale sembrava aver visto muoversi un’ombra sospetta.
Rovista nella scatola delle ninfe e, accorgendosi di aver terminato ciò che cercava, si gira verso di me chiedendomi “Non è che hai una ninfetta sullo scuro?”. Io, sapendo cosa volesse, ci ho messo un attimo a prenderla e a stendergliela.
Torniamo a pescare ognuno al proprio posto quando, attirato da un grido di Antonio, mi giro e vedo la sua canna piegata come solo un toro poteva fare. Ad un suo cenno capisco che forse servirà una mano per portarlo al guadino e mi avvicino con l’ansia di chi ha una responsabilità non da poco. All’amo c’era un temolo che si aggirava sulla fatidica misura dei cinquanta quindi, se l’avesse perso a causa mia, non me lo sarei mai perdonato. Il combattimento dura ancora un po’ quando, giunto nei miei paraggi e già esausto, al nostro amico temolo non resta che adagiarsi nel guadino. Antonio sprizza gioia da tutti i pori sapendo che la sua giornata era raddrizzata. Foto di rito e rilascio con onore. Bel pesce veramente.
Io, nel frattempo, ricomincio a pescare con la testa che mi ronza pensando e ripensando a quella frase che avevo lasciato a Nadia………….Si susseguono altre catture ma passano i minuti, le ore e il tempo tra me ed il goal si assottiglia. Ma è in questi momenti che, dando fondo a tutto ciò che hai nella memoria, mi torna in mente una frase di Angelo (Piller): “Quando te la vedi persa col temolo c’è sempre il San Juan…..”.
Siamo un po’ oltre la metà del no-kill. Qui il fiume qui crea una lama abbastanza profonda con corrente sostenuta in cui possono trovare l’habitat ideale pesci di taglia.
Non ci penso un secondo di più ed incomincio a testare il San Juan. Prima passata nulla, seconda idem, alla terza sento un blocco e ferro. Dapprima ho l’impressione di aver incagliato ma, al successivo strattone capisco che sotto c’è qualcosa di vivo e dannatamente tosto. Cerco di sollevare l’esca dal fondo ma sento opporre una resistenza degna di Leonida alle Termopili. Continuo nella mia opera ma non riesco a vedere ancora cosa c’è all’altro capo della lenza.
Ad un certo punto sento cedere improvvisamente e il sangue mi si gela nelle vene: “L’ho perso penso!”. Errato. Ciò che era celato dalla profondità delle acque spiccò un volo a circa un metro oltre la superficie.
Era un temolo le cui dimensioni non riuscii a stimare se non per la faccia che fece Antonio (che nel frattempo stava pescando nella sponda opposta). Lasciò immediatamente la canna e, per restituirmi il favore fattogli in precedenza, cominciò a correre indietro alla ricerca di un punto idoneo ad attraversare per venirmi ad aiutare.
Io intanto avevo i secondi che sembravano ore. Il treno iniziò a farmi andare su è giù per la lama spiccando di tanto in tanto dei voli che mi facevano bloccare il cuore, visto lo 0.12 che avevo improvvidamente messo come finale.
Cercava di ripararsi in ogni dove ed io lì a trovare una soluzione per trovare il bandolo alla matassa che sembrava sempre più intricato. Ogni strattone perdo un battito.Antonio sta quasi per attraversare ma, vista anche l’asperità del terreno pieno di ciottoli pronti a franare, non posso attenderlo a breve.
A quel punto decido di contrattaccare e, forte del fatto che sembri aver dato molto, cerco di tirarlo a me.
Sembra che questa volta la sorte sia dalla mia parte. Il guerriero esausto si avvicina ed io, fiero come forse mai mi era capitato prima in pesca, metto mano al guadino.
Tendo il braccio verso la preda alla quale, essendo già su un fianco, non resta che entrarci dentro. Mera illusione la mia !!!! A meno di venti centimetri dal guadino, l’impavido si rimette dritto e rimettendo benzina ai suoi motori, si riprende almeno 15 metri di coda e, spezzando il finale, da fine a quella che per lui è stata la “fuga per la vittoria”.Dire quello che ho provato in quel momento forse è impossibile, ma se capitate nel no kill di Perarolo credo che ancora un po’ d’eco vi aiuti a capirlo. Antonio si blocca impietrito.
Non so se quel temolo fosse da 55, meno o più. Però, sebbene sia andata com’è andata, sono certo che, con la scarica di adrenalina avuta in quel momento, mi ha restituito, ciò che la sorte avversa di quella giornata mi aveva tolto.Quindi, onore al merito e trarre più insegnamenti possibili da queste situazioni. Primo fra tutti pescare in posti in cui il compagno può facilmente raggiungerti.
Il posto vuoto qui sopra non è un errore. Qui sarebbe dovuta esserci la foto postata dal vincitore della sfida ma, per mia fortuna, non aveva la macchina fotografica.
A presto 🙂
Remo
Nella vita di situazioni in antitesi tra loro, che generano emozioni altrettanto opposte ne abbiamo quante ne vogliamo. Ma, tra queste, ve ne sono due con le quali ogni pescatore ha avuto a che fare una serie indefinita di volte: la sconfitta e la vittoria.L’una non può escludere l’altra, vivono assolutamente in una sorta di strana simbiosi in cui, a seconda da che lato la si guardi, può essere estasiante come dannatamente deprimente.Tutti noi (me compreso) siamo soliti narrare di gesta epiche compiute nei più disparati e reconditi posti del globo terrestre terminandoli con la rituale foto di rito che ha in bella mostra la preda il cui sguardo lascia spazio a poche interpretazioni su chi sia il vincitore e chi il vinto (sebbene poi lo si rilasci nel suo habitat).In questo racconto mi voglio “salmonizzare”, andando volutamente contro corrente e raccontare di una sconfitta che, per come è maturata, sarà difficile da dimenticare e, oltretutto, spero di non dimenticare mai.Non nascondiamolo, noi pescatori dobbiamo essere un po’ come i giocatori di rugby che, dopo essersele date di santa ragione, al termine dell’incontro, vanno al terzo tempo, si stringono la mano onorandosi l’un l’altro. L’unica differenza sta nel fatto che, al termine di una giornata di pesca, è un po’ arduo ritrovare tutti i nostri pinnuti avversari per complimentarci a vicenda (ammesso che li sia presi).Bene, veniamo al racconto.
Eravamo, come spesso ci capita, dall’amico Angelo Piller ed in particolare, quel giorno, io ed Antonio stavamo accompagnando Cristian e Fiorenzo, due amici del Mosca Club Vallesina, nel No-kill di Perarolo.Chi conosce il posto (come io e Antonio conoscevamo) sa bene che, inoltrarsi nel bosco senza una quattro ruote motrici, è assolutamente sconsigliato nonché da sconsiderati.
Bene, per far risparmiare qualche minuto di cammino ai nostri amici, impavidi, siamo arrivati oltre le colonne d’Ercole.Al momento di salutarci, per fare ognuno la nostra bella giornata di pesca, cerchiamo di risalire quando una dannata pozza di fango ci fa arenare e da inizio all’avventura.I nostri amici, capendo che anche loro sarebbero incappati nello stesso inconveniente, si adoperano per farci risalire cercando di riempire la fangaia con tutta la legna disponibile nei paraggi ma senza successo.Non ci rimane che chiamare gli altri nostri amici, già intenti nella loro giornata di pesca, affinché ci tirassero fuori dall’impasse.Stefano e Gabriele ci soccorrono e, grazie all’aiuto di un signore che abitava nei paraggi e che possedeva un’auto idonea a quei posti, riescono a risolverci il problema non senza fatica. Mentre venivamo trainati fuori, vedevamo le scintille prodotte dall’attrito della catena (non avevamo corde) sull’attacco della sua auto ed io ne uscii fuori con il gancio traino spaccato in due. Ciò nonostante non smetteremo di ringraziare quello che per noi fu il buon samaritano, senza il quale avremmo avuto da penare non so quanto prima di venirne fuori.Guardiamo l’orologio e praticamente la mezza giornata di pesca se n’è andata.Cristian e Fiorenzo avrebbero avuto tutto il diritto d’insultarci fragorosamente (almeno al sottoscritto visto che a guidare ero io) ma si sono comportati da veri signori.Nella seconda metà della giornata saremmo stati io e Antonio a scendere nel no-kill.Ci mangiamo fugacemente un panino e, pronti a riscattare la giornata iniziata non certamente nel migliore dei modi, scendiamo verso il no-kill (stavolta fermandoci nella piazzola idonea).Appena apriamo il portellone del portabagagli Antonio si mette le mani nei capelli ed esclama: “Nooooo!!!”. Non c’è la borsa di Antonio in cui aveva scarponi e waders.Panico!!!! Dov’è ? Antonio fa uno sforzo di memoria e congela un’immagine in cui vede la propria borsa in una panca davanti Villa Marinotti dove l’aveva appoggiata la mattina poco prima di caricarla in auto.Pronti? Via !! Direzione Villa Marinotti alla ricerca della borsa perduta. Arriviamo e qui, nel frattempo, erano tornati Cristian e Fiorenzo in attesa di andare a pesca. Ci vedono arrivare tutti trafelati e, non appena diciamo il perché siamo lì, ci basta osservare il loro sguardo per leggere ciò che in cuor loro hanno pensato…. ma che, anche stavolta, non hanno proferito per non infierire. Touchè e grazie di cuore per la comprensione.
……….To be continued
Dopo aver consumato il pranzo che le nostre splendide e pazienti mogli ci hanno preparato (panini con salame e mortatella, pizza di formaggio e crostata) abbiamo ripreso l’attività di pesca.
La morfologia del tratto più a monte è nuovamente cambiata, le gigantesche rocce e pietre disseminate nel fiume, hanno lasciato il posto a scorci più aperti e liberi.Tutta l’attività di pesca ne ha beneficiato, dandoci modo di riposarci ulteriormente e soprattutto di godere dello splendido paesaggio che ci si presentava.
Così come il paesaggio, anche le nostre amiche trote hanno variato la loro attività, diventando meno diffidenti e quindi più collaborative; permettendoci maggiori catture rispetto alla mattinata.
Il pomeriggio quindi è stato un susseguirsi di splendide catture, la maggior parte delle quali fatte a ninfa, su lame d’acqua molto veloci. Anche se in queste ore del giorno la temperatura è salita molto, l’attività dei pesci non è cambiata, ma ci ha permesso in qualche occasione di osare con delle voluminose mosche da caccia, che sono riuscite a volte a far scattare come molle i pesci in splendide bollate.
Verso le 16 abbiamo deciso di tornare in macchina e di spostarci in un tratto molto più frequentato del fiume ma questa volta con acque di categoria A.
Il tratto in questione è quello che si trova nei pressi di Trisungo, ed è meta di molti pescatori al tocco; qui abbiamo trascorso il resto della giornata, per poi ripartire verso casa ormai esausti alle 18, ma orgogliosi della stupenda giornata vissuta immersi nella natura dei nostri paesaggi Piceni.